San Paolo VI: è bello pregarlo così, ora che da qualche giorno è stato canonizzato. Non avremmo mai pensato di poterlo fare, quando, da ragazzini, udivamo nella Messa italiana (la Messa di Paolo VI!) “…in unione con il nostro Papa Paolo, il nostro vescovo…”. Avevamo tredici anni, quando morì, la sera della festa della Trasfigurazione, cioè la sera del 6 agosto 1978. La Trasfigurazione era il suo Mistero preferito e la prima sua enciclica, Ecclesiam suam, porta la data del 6 agosto 1964. Proviamo un po’ di commozione nel parlare di San Paolo VI, perché siamo trasportati all’estate tra la III media e la IV ginnasiale, tempo per i grandi di strategia della tensione e anni di piombo, per noi allora di primi turbamenti da adolescenti, dischi estivi di canzonette ed orecchiabili, italiane (una francese?), che ancora abbiamo in mente…
Ma passiamo dal privato al punto ecclesiale, cristiano, di San Paolo VI, ordinando il discorso in quattro tappe principali:
- S. Paolo VI e l’Italia. Figlio di un politico e giornalista, Giovanni Battista Montini sposò una volta per sempre l’ideale politico cattolico democratico, respingendo per sempre nei fatti, nella sensibilità, le opzioni alternative (cattolicesimo liberale? cattolicesimo conservatore e filoautoritario? -in verità, oltre le buone intenzioni dei sostenitori, esse non valgono nulla-). Fu assistente della gioventù universitaria cattolica (FUCI) al tempo del tempo del fascismo, quando gli squadristi bastonavano ragazzi come il Beato Pier Giorgio Frassati, e lo stesso Pio XI insorse con l’enciclica dal titolo sintomatico Non abbiamo bisogno (della ricomprensione benevola nella Storia della Nazione). Fu vicino al grande venerabile Pio XII (falsamente e vergognosamente accusato di acquiescenza verso il razzismo antisemita, mentre il rabbino capo di Roma si convertì e prese il nome battesimale d Eugenio -pensate…-; fake news dei primi Anni Sessanta, figlia della bugia bolscevica -diciamolo!-). Fu vicino ad Eugenio Pacelli nel bombardamento di San Lorenzo a Roma… Poi, un certo dissidio, quando nei primissimi Anni Cinquanta la linea Montini-De Gasperi, nelle elezioni a Roma, volse decisamente per nessuna alleanza della DC con forze reazionarie, nonostante il pericolo di vittoria socialcomunista… A Milano, capitale industriale, come arcivescovo, intuì che a volte la prassi cattolica consolidata poteva nascondere ipocrisie, o non coglimento del cuore del Cristianesimo (che è Cristo!): organizzò perciò grandi missioni nella meravigliosa magna Diocesi ambrosiano-borromea, fino alle fabbriche, per stanare la differenza tra pratica religiosa e Novità assoluta del Vangelo… Arriviamo agli Anni Settanta…a Moro, “persona mite, cara”, suo discepolo antico (formato con Montini a Maritain e cattolicesimo democratico…). Per Moro reperì 10 miliardi per il riscatto; OFFRI’ LA SUA VITA IN CAMBIO (lo abbiamo del tutto dimenticato!!!); supplicò in ginocchio i brigatisti, formati -ohimè- anche alla scuola prava di una cattiva interpretazione (croce di Paolo VI!) del Vaticano II, allorchè provenivano da gruppi cattolici totalmente orizzontalizzatisi (= amare l’uomo, dimenticando il Padre [!]). Infine l’omelia funebre in S. Giovanni in Laterano: “Tu non hai ascoltato la nostra preghiera, Dio della vita e della morte… Ma, ora, comunque Ove andare, se non presso di Te?”. Quanto di più grande, anche filosoficamente, un’intelligenza umana, conservandosi lucida, può ancora dire, dopo il dolore. Se il bene è bene, perché viene dal Bene, come poter negare il Bene se il bene viene assalito? Senza il Bene, il bene non è bene, e dunque non è male fargli violenza… Ma se il bene è il bene -e lo è, dal Bene-, perché il Bene permette…? Ecco LA domanda, che ha risposta solo in Cristo. Non sappiamo se quel “Tu non hai ascoltato” abbia comportato, sedimentandosi dentro il cuor nostro ragazzino dentro una famiglia cattolica, tutto quel futuro fermento filosofico e teologico (nostra professione), che ci ha portati sempre più, proprio davanti al male (che NON può avere l’ultima parola), a confessare il Dio di Cristo Crocefisso, e non un “dio” onnipotente qualunque… Sia quel che sia, a distanza di quarant’anni ringraziamo San Paolo VI per quelle parole… Parole anche di grande amore verso l’Italia politica… San Giovanni Paolo II la lasciò piuttosto a sé… Sta il fatto che, senza la guida montiniana, la politica cattolica italiana incontrò presto la morte. Perché il Concilio e Paolo VI avevano indicato l’apertura al mondo, senza confusione con il mondo, e invece alcuni politici “cattolici” interpretarono questo come un do ut des comodo (alla Sinistra atea il potere culturale, a noi quello economico)… Paolo VI capiva, soffriva. E il caso Moro fu il colpo finale, che lo… trasfigurò…
- S. Paolo VI e la modernità se essa è respingimento di Dio… Leggete Ecclesiam suam : “Noi sappiamo […] che in questo cerchio sconfinato sono molti, moltissimi purtroppo, che […] si professano atei. E sappiamo che vi sono alcuni che della loro empietà fanno professione aperta come programma di educazione umana e di condotta politica […] E’ questo il fenomeno più grave del nostro tempo. Siamo fermamente convinti che la teoria su cui si fonda la negazione di Dio è fondamentalmente errata, non risponde alle istanze ultime e inderogabili del pensiero, priva l’ordine razionale del mondo delle sue basi autentiche e feconde, introduce nella vita umana […] un dogma cieco che la degrada e rattrista […] dramma che tenta di spegnere la luce del Dio vivente. Perciò noi resisteremo con tutte le nostre forze […] per […] la confessione fedelissima di Cristo […] nella speranza invincibile che l’uomo moderno sappia ancora scoprire nell’ […] offerta del cattolicesimo la sua vocazione” (Ecclesiam suam, n. 103). Parole stupende, prodigiose teoreticamente (c’è dietro Guardini, per esempio…); parole molto forti, nette e, fra l’altro, espresse in una lingua italiana stupenda (che Paolo VI, Giovanni XXIII, Pio XII maneggiavano a meraviglia, anche nelle locuzioni a braccio: lingua sobria e insieme solenne, sgravata da ogni barbarismo, figlia di quell’istruzione classica, di cui sentiamo drammaticamente la mancanza…). S. Paolo VI, dunque, vide chiaro il punto: modernità, in senso positivo era (Anni Sessanta!) quella freschezza antiautoritaria e antidommatica, unita a prodigi tecnici in grande misura filoantropici; ma modernità volle anche dire riduzione dell’essere e della bellezza a un nome vuoto, primato del prodotto e, dopo questa falsificazione, spegnimento del desiderio del Dio vivo, Padre, nell’uomo figlio. S. Paolo VI non operò, nella citazione riportata, con troppi strumenti scolastici; soltanto si vede la lucidità della sua intuizione, che proviamo a formulare: davanti alla bellezza ragionevole, logica, che le misure scientifiche non sopprimono affatto -anzi il logos è quanto mai riproposto dall’antipositivismo della grande “spiritualità matematica” del Novecento- la chiusura alla Fonte-Logos è quanto mai tragica… S. Paolo VI (con gli strumenti intuitivi della sua formazione francese e con i mezzi teologici della sua preparazione patristica, ambrosiano-agostiniana) diceva con spontaneità: se “dio” è il tabu-mana del religioso-sociologico, la cosa non interessa né l’uomo, né il cristiano, né la verità; ma se Dio è Vita e Logica stessa, e il mondo è sempre più, nel suo momento personale (uomo) e impersonale (cosmo) coinvolto nella necessità realistica di dirsi vivo, bello, logico (contro certo pensiero liberale…), allora IL CRIMINE (perpetrato con mezzi politici) della modernità è proprio l’ATEISMO. Questo Paolo VI scrisse, al principio del suo pontificato; questo fu (forse volontariamente) fuorviato o sottaciuto; questo oscuramento di Dio è (non lo dice nessuno!) a monte della vicenda Moro, ossia del sangue versato da ex cattolici orfani di Dio in nome di una ignorantissima ascientifica rozza filosofia ottocentesca (chiaro, no?), cui pseudocattolicipoliticanti si arresero culturalmente, vendendo il logos e comprando il potere. Dixi. Tutto ciò Paolo VI vide, e soffrì e offrì.
- S. Paolo VI e il ruolo del Romano Pontefice. Ascoltate su internet quella locuzione a braccio stupenda: “Amate il Papa, che certo non da sé ha voluto questa STRANA SINGOLARE VOCAZIONE… Chiedo la carità di amare il Papa”. Stupendo. Guardate gli occhi caldi e umidi di Montini. Ripensate al dialogo con l’altro grande, Atenagora, ove disse che aveva grandissima preoccupazione che UNA ERRATA CONCEZIONE DI “PIETRO” potesse far male all’ecumenismo, alla carità nella verità delle Chiese. Vogliamo riflettere sulla quella parola, vocazione, stranamente legata al primato petrino, che certo lo Spirito suggerì a Montini. Qual è il punto? La Chiesa non deve essere ritenuta di ingombro, perché ESSA E’, DAVVERO, CORPO-DI-CRISTO, nonostante tutto… Non è uomini che si frappongono, ma Cristo che scende in uomini sue membra -tutti lo siamo-. Questo è sconvolgente, cristianamente: Dio, il Padre, è tale perché Generazione del Figlio; il Figlio è tale perché, nella volontà del Padre, prende la Carne, nella quale inventa mondo, uomini fratelli e, col Sangue causato dal peccato\peccati, reinventa i suoi fratelli nella Chiesa. Che è LUI. I fratelli d’Oriente lo sanno. Il loro problema non è la Chiesa e nemmeno Pietro, perché venerano il Patriarca d’Occidente, ma la cattiva interpretazione monarchico-nepotista di Pietro nel II Millennio… E se Pietro, invece, e i suoi successori, rispondessero solo ad una umile VOCAZIONE, quella strana di stare tra l’incudine e il martello, quella totalmente OGGETTIVATA, COSIFICATA di mediare, quella di servire con l’autorità che è umanamente necessaria…? Se così fosse, e così è, il primato petrino risulterebbe nient’altro che la vocazione di un uomo che -proprio in ragione della sua inadeguatezza soggettiva- è messo da Cristo come un OGGETTO spartitraffico, per le pure necessità orientative del Corpo… Paolo VI voleva dire questo, che è proprio il cuore del Primato. Ebbe la soddisfazione dell’intesa profonda con Atenagora (e ricordate quando poi cadde in terra a baciare i piedi del vescovo ortodosso?); ma ebbe anche la croce sulle spalle, messagli dai cretini destrorsi o sinistrorsi (lefebvriani, teologi della liberazione, ossia o rococò giansenistici, inconsapevolmente sunniti, o ignorantelli da bottegucce oscure terzomondiste, autorizzatisi a fare teologia su Chiesa, Papa, Concilio, Cristo, Dio).
- Arriviamo al punto più bello e nucleare: l’amore di S. Paolo VI per Gesù Cristo. Di Dio la ragione e la vita hanno bisogno ontologico [v. 2], ma di quello vero (Padre, non Essente arbitrario); ora Questo è portato da Cristo (non da un cristo profeta, ma da Gesù Figlio Incarnato, a dirci che Dio è Padre da sempre, che da sempre non è solo Creatore, ma è Colui che regala al Figlio dell’Uomo di essere Dio davanti a Lui). Perciò S. Paolo VI, vicario servitore di Gesù, ci ha regalato la meravigliosa Omelia cristologica di Manila 1970, che è inserita attualmente nel Breviario. Leggete: “… Di Lui, Gesù, non smetterei mai di parlare: Lui la luce, la verità, anzi la via-verità-vita; Lui il pane e fonte dell’acqua viva, che soddisfa la nostra fame e sete; Lui il pastore, la guida, l’Esemplare, la consolazione nostra, il nostro fratello. Come noi, più di noi!, fu piccolo, povero, umiliato, costretto dalle fatiche, oppresso, paziente. Per noi ha parlato, ha compiuto i miracoli […] Questo Cristo, Gesù ecco, di cui avete avuto notizia […] a voi o cristiani il suo nome ripeto, a tutti Questo annunzio: Cristo Gesù è il principio e la fine […] l’arcana […] Ragione della nostra sorte…” (Omelia a Manila, 29 novembre 1970). La Ragione dell’uomo e delle carni: che Dio, in Sé, abbia il Figlio dell’Uomo .
Potremmo continuare: la riforma liturgica, che non fu affatto (come malamente interpretata) soppressione del latino e apertura a schitarrate e a Che Guevara invece di San Paolo (o a riso e te invece di pane e vino…). E Paolo VI soffriva… Invece fu il ritorno alla maggiore sobrietà antica, con preservazione totale dei grandi antifonali (anzi arricchiti con il ricorso ai Sacramentari del I Millennio), con il ripristino della pericope dall’Antico Testamento, del Salmo responsoriale a della Preghiera dei fedeli, che c’erano ai tempi di Sant’Agostino. Il tutto guarnito di apertura ampia al vernacolo e nuova produzione melurgica, come è giusto nella Chiesa viva, con l’altare non tanto coram populo, ma coram Cruce, tutto centrato -pontefice e popolo- avanti al Crocefisso-Risorto che ritorna, com’era nell’antica architettura paleocristiana. Anche qui fraintendimento e sofferenza.
Come per l’Humanae vitae. Il discorso è complesso, e lungi da noi presumere di non essere uomini del tutto permeati dagli ammiccamente facili e tentatori della modernità tecnica, che ha un modo tutto suo di risolvere i problemi morali: negarne l’ethos, fornire una soluzione tecnica (si può, dunque si può). Pensiamo che la verità sia triplice: a) è difficile seguire le “regole” (ma non si dovrebbe pensarle come tali…); b) però le alternative facili sono ancor più dolorose, dopo un po’… Pensate a come nacque il divorzio, per passare ad un caso affiancato: rimedio eccezionale…; oggi siamo al punto che matrimonio socialmente stabile (il che rileva anche extracristianamente) non c’è più, nemmeno come concetto. Perché è possibile fare altrimenti. Ma è c) il punto decisivo: quello di una chiamata non ascetica, ma in Cristo (anche partecipando della Sua Croce, un po’ troppo dimenticata…), a vivere certi comportamenti. Magari per non perdere la magia del mistero della vita. Magari per una educazione ecologica alla sessualità. Magari perché la Vita è ultratecnica. Magari perché il timore in buone dosi non ha fatto mai male a nessuno. Mah! Ormai sono discorsi vecchi, dacchè i maitres à penser del rivoluzionarismo sessuale [i nonni] hanno partorito la generazione del preservarci dal comandare [i padri] e questi ultimi la generazione della bestiolina ipersessuale anche a dodici anni [i figli]. Complice, certo, la possibilità tecnica di rimediare prima e dopo. Ci rendiamo conto che non è un discorso politicamente corretto. Però ci piace………
Ma non possiamo congedarci così da S. Paolo VI, il Papa che concluse il Concilio Vaticano II con grande equilibrio, che praticamente iniziò dal nulla il dialogo ecumenico…. Ci congediamo da lui ricordando che per sua intercessione è nata una bimba che non doveva nascere… Ci congediamo con la lirica stupenda del suo Testamento (cercate, leggete). In esso egli guarda a Brescia, a Milano, a Roma, alla scena stupenda e drammatica di questo mondo. Che Dio tanto ama in Cristo. Che S. Paolo VI tanto amò in Cristo. Amen.
CARMELO PANDOLFI, 3 novembre 2018.